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17/04/12

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  • TITOLO : Le invio un manoscritto. Attendo contratto
  • Sottotitolo : Ovvero, l'editoria ha inizio lì dove finisce la logica
  • Autore : Aldo Moscatelli
  • Numero Pagine : 204
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  • Nell'Archivio : 2

Cosa ci trovate dentro? Diverse cose interessanti, cose che forse, pur navigando da un po’ nell’acquario editoriale, vi erano sfuggite. I meccanismi dell’editoria a pagamento, le ambiguità di quell’altra editoria che si dà arie da salvatore della patria (degli esordienti), i contratti-farsa, i segreti mai detti – ma si sanno, dai! – sui distributori e sull’esposizione di certi capolavori in libreria, le recensioni truccate – i famosi bidè letterari –, i Premi che o ci credi – e credi a Babbo Natale – o lasci perdere, i recensori improvvisati e cattivelli.
Bene, mi fermerò soltanto un momento sui recensori della domenica, gente come me, personaggi scriventi affetti da livore nei confronti di chiunque sia riuscito a pubblicare: voglio rassicurare il signor Moscatelli, qui si dice male di tutti, non si dice male della piccola editoria perché si campa di libri usati (e libri nuovi, quando Sul Romanzo mi chiede di leggerli, raramente li compro di mia iniziativa: i libri usati sono consolatori ma di usati ed editi da piccole case editrici non ne ho scovati). Mi dilungo altre due righe per dire che il signor Moscatelli ha ragione quando afferma che i blogger chiedono libri a nano (sta per “zero dindi”) alle piccole case editrici perché le piccole case editrici non vengono prese sul serio quanto Garzanti, Mondadori, Feltrinelli e compagnia bella. Vogliono leggere quel libro ma non scuciono soldini, forti del fatto che “ti faccio pubblicità sul mio blog, allungami ‘sto libro”.
Assicuro quindi che mai in vita mia ho chiesto libri gratis e mai li ho voluti: così mi sento libera di parlarne bene o parlarne male, come accidenti mi tira. Indipendentemente da quanto è grosso l’editore, l’autore o il marketing appiccicato al titolo.
Ripartiamo da qui verso un’ennesima avventura, questa arriva proprio da Sul Romanzo, la prendo dritta filata dai commenti fatti alla sesta puntata di“All’inferno, scrittore esordiente!”.
Come forse vi sarà capitato di notare, non piglio sul serio chi mi dice d’essere scrittore se scopro che poi ha pubblicato a pagamento. È una mia tara, se l’idraulico mi aggiusta lo sciacquone e mi lascia la mancia, potrò dire che è una brava persona… ma fa l’idraulico per passare il tempo. Chiaro? Preciso? Vi torna? Ok.
Passiamo allora ai commenti – non metto nome e cognome, trovate tutto nel link – e vediamo di capirci qualcosa. Qualcuno sostiene che non è detto che un libro pagante sia sempre un brutto libro. Mi sento quindi di dire che tali libercoli «non credo siano sempre da cacciare nella differenziata, ma certo l’editore a pagamento e il tipografo non sono soliti fare l’editing di quanto stampano. Non escludo possa accadere in qualche occasione o in universo parallelo, ma diciamo che lo trovo improbabile.»
Mi viene allora risposto così: «È naturale che un sito che offra servizio di editing consideri lo stesso come una inderogabile necessità, allo stesso modo di un muratore convinto che senza essere muratori professionisti sia impossibile tirar su un muro che sia perfettamente verticale, eppure… eppure c’è chi, sputando dall’alto delle proprie, pregiate, possibilità, trova il modo, attraverso lo sputazzo, di tracciare una perfetta verticale da seguire… per raggiungere il tetto delle proprie, indefinite prima di allora, capacità. L’essenziale è accertarsi che non ci sia nessuno sotto… quando si sputa.» Chiarisco lì come chiarisco qui che io non mi occupo di editing, ma evidentemente dirlo non basta.
«Non lo offri, certo, ma sei ospite di chi lo offre… o no?», uno a questo punto potrebbe anche scaldarsi, gli stanno dando del venduto, ma vediamo di soprassedere. Leggendo le cretinate che scrivo per Sul Romanzo e – e soprattutto – per Giramenti, dovrebbe risultare palese che, non solo non mi si compra con due noccioline, non mi si compra e basta.
Si ritorna poi a quanto si diceva dell’editing e delle case editrici a pagamento in codesti termini: «Nel tuo commentare asserisci che l’editoria a pagamento non offre il servizio di editing, ma da molti autori, quelli che considerano quel servizio un’indesiderata intrusione, è considerata un’assenza da ritenersi auspicabile. Io, per citare a casaccio, mai permetterei ad alcuno di mettere le mani su ciò che scrivo, nemmeno se giudicassi convenienti i miglioramenti apportati.»
Non so cosa voi pensiate dell’editing, e non lo sapevo nemmeno commentando «Sarò sincera, i miei articoli si avvalgono dell’editing di una gran persona», e mi riferivo a quanto esce per Sul Romanzo, dove i collaboratori, divisi in gruppi di lavoro, si avvalgono dell’aiuto di un editor. Il poveraccio che deve vedersela con me è un santo, ma non solo questo, è bravo da far paura. E se è bravo, perché non imparare qualcosa dalle sue correzioni? Certe occasioni non me le faccio scappare!
Eppure anche così le cose non risultano chiare visto che mi si chiede se mi farei correggere anche i commenti, e il signore in questione me lo chiede in questi termini: «È follia pura, perché un autore così facendo si mette nella condizione tipica che è propria degli insicuri di sé. Non sarebbe più naturale comprarsi una grammatica della lingua italiana e rimettersi a studiare? Cosa potrebbe scrivere d’interessante un autore non in grado di correggersi? Cosa riuscirebbe a scrivere un correttore non in grado di creare? Infine… un individuo che al posto di scrivere corregge gli scritti di altri autori con che autorevolezza potrebbe scodinzolare nell’universo dei creativi?» e qui, perdonatemi, mi cito per intera:
«E da dove salta fuori l’idea che io mi faccia correggere i commenti? Te l’ha suggerita la fatina dei denti o l’orco degli editor? Quindi – correggimi se ho inteso male -, avvalersi di un editor è cosa da insicuri. Basta ripassarsi la grammatica italiana: stessa cosa, uguali risultati. Ho capito bene? Poi, visto che si siamo, ci cacciamo dentro anche il fatto che un editor – “un individuo che al posto di scrivere corregge gli scritti di altri autori” – abbia davvero ben poco da dire, non è un creativo, è solo uno che ha ripassato la grammatica. Ho riportato correttamente quanto intendevi dire?
Bene, la mia impressione è che tu non abbia mai avuto modo di studiare da vicino cosa combina un editor. Credo tu ne abbia una pessima opinione senza aver toccato con mano. Dico bene? Sto sbagliando? Hai conosciuto un editor ma l’hai beccato a rubare nelle borse delle anziane signore che hanno scambiato l’editing per uno schema di ricamo?
E i libri che finiscono sugli scaffali? Lì non c’è la mano di un editor? Direi di sì, tu cosa diresti? Che sì e allora sono tutti scrittori che hanno smarrito la grammatica, che no, e allora è gente sicura dei propri scritti, così sicura da convincere una casa editrice a non mettere il naso in cose che non la riguardano.
Ovviamente non sono un editor, la categoria può fare senza di me perché il libro di grammatica l’ho smarrito in soffitta e sono costretta a fare con quel poco che ricordo. Però mi spiace quando una figura del genere – e ribadisco: non faccio editing, non lavoro per chi lo fa, non becco un quattrino a parlare della faccenda e per convincermi a dire una cosa che non penso bisognerebbe puntarmi contro una pistola… e anche lì dovrei pensarci – viene presa così sottogamba. Sembra quasi che per qualcuno l’editor sia una figura truffaldina, mentre l’editore a pagamento – che l’editing certamente non lo fa – sia una brava persona che capisce il valore di uno scritto altrui e quindi, di buona grazia, per quel motivo e quello soltanto, decida di non cambiare una virgola.»
Ero convinta d’aver chiarito il mio punto di vista. Macché!
«L’editor offre una prestazione adatta a coloro che non sanno scrivere ma che, raramente, hanno interessanti cose da dire. Uno scrittore preparato e consapevole non ha bisogno di editing, allo stesso modo di un cardiochirurgo che non vuole l’imposizione della mano di un infermiere per attenuare il tremore delle proprie dita, quelle stesse che, impugnando il bisturi, mai dovrebbero chiedersi quale sia la direzione da prendere.»
Ecco, sì, adesso mi è chiaro perché l’editoria a pagamento ancora goda di sana e robusta costituzione: vanità su carta, e con la vanità siamo sempre ben lieti di scendere a patti. Lo affermo qui come, credo, risulti evidente anche da quanto scrivo per Sul Romanzo: di tanta fuffa possiamo anche far senza. Grazie.
Ho evitato di continuare la schermaglia da quell’altra parte, ma qui un po’ di trambusto lo possiamo fare.
Uno dei signori citati, se ben ricordo, ha già lasciato un commento su Giramenti, non avrà quindi alcun problema a rifarsi vivo nel caso avesse qualcosa da aggiungere.